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Metallized su Penis Barbecue

Cosa è l’avanguardismo sonoro? Cosa risiede dietro la canonizzazione classica di un genere musicale, di qualsiasi estrazione, allo scopo surclassarlo, girarlo, grigliarlo, assaporarlo, mantecarlo per crearne il vuoto compositivo?

Non bisogna avere paura del vuoto: esso analizzato nel suo intimo porta ad assaporare l’assenza, l’astinenza, il nero. Il vuoto compositivo a cui mi riferisco è sintomo di assenza di riqualificazione gerarchica su un qualsiasi canale compositivo (rinchiuso entro determinati argini musicali), sulle scelte di terzi. Tutto questo bel parlare porta a compimento questi concetti in un singolo pensiero: Penis Barbecue è assenza di logica compositiva, è un album fuorilegge, un anarchico e un rivoluzionario che ti schiaffa un dito medio in pieno volto e, deridendoti, ti sottopone ad una frustrazione costante dovuta alla consapevolezza che loro ci sono riusciti mentre tu rimani inchiodato ai tuoi gerarchi, alle fondamenta del passato. Bravi! Si meritano un puro e semplice “Bravi!” quanto mai sincero, questi Give us Barabba: una band giovane, con molto da insegnare nel loro piccolo. Ammetto che appena entrato in contatto con questo progetto musicale avevo qualche riserva che mi ha spinto a snobbarlo per un po’, ascoltato distrattamente in attesa del suo turno in fase di recensione. Ora posso ammettere di essermi sbagliato: signori e signore, avete di fronte uno splendido spaccato della musica italia moderna impregnato di un pizzico di genialità. L’essere riusciti ad unire anime diverse, tendenzialmente opposte, e a farle confluire in questo amalgama di idee è quantomeno da applausi. Ora vi chiederete come suonano, cosa propongono, a chi bisogna riferirsi per portare alla luce qualche metro di paragone con cui ci si possa rapportare. Eccovi serviti: già la categorizzazione “avantgarde” deve farvi drizzare le orecchie; metteteci dentro un pentolone carico di reggae, post-rock, progressive, pop da classifica, funk, metal classico e farcite il tutto con testi irriverenti e sarcastici tra italiano e inglese.
Compariamo, suvvia, compariamo i nostri a qualche gruppo più o meno universalmente conosciuto: Devin Townsend (si ascolti la canzone a lui dedicata), Mr. Bungle e i fratellastri Fantômas, Sud Sound System, un po’ del Fabio Concato dei tempi d’oro e perché no, un pizzico ma giusto un pizzico di Incognito, con quel sapore acid jazz che non guasta mai. Le canzoni hanno un ritmo e un vibe personale, altamente tossico, che creano dipendenza per poi catapultarvi di palo in frasca senza chiedervi il permesso. Mentre vi scrivo sto ascoltando per la terza volta di fila Io e te Senza di Lei e ad ogni ascolto trovo sfumature diverse; e il testo, genialità fine a senso unico, chapeau! Talmente tanti sono gli aspetti compositivi che risiedono dietro ad ogni singola traccia, che difficilmente Penis Barbecue si riesce ad inquadrare in pochi ascolti: ho faticato, ho dovuto bestemmiare alle divinità di mezzo mondo per far quadrare il cerchio, creando nel processo un rombo trapezoidale per la mia cassa toracica conica. Per chi ha una certa dimestichezza con le creature malvagie e schizofreniche create dalla mente di Mike Patton sarà un po’ più facile riuscire a rintracciare quel filo d’Arianna per la fuga dal labirinto, anche se come detto prima c’è tanta cicca al fuoco qui dentro e l’album, privo di ogni timore, prende il sopravvento dentro le sicurezze personale facendone mangime per uccellini. Ultima nota positiva, doverosa, è nei confronti degli inserti vocali presi di qua e di là dalla cinematografia e dall’espressione italiana degli ultimi decenni, come se si volesse consegnare un prodotto che rispecchiasse le facce più commerciali e consumistiche del nostro paese, i volti nascosti, le personalità della sottocultura che nell’ombra, silenziosamente, hanno in qualche modo plasmato la percezione della realtà quotidiana. Simpatiche e riflessive, fanno breccia nell’ascoltatore senza rovinare il tappeto sonoro: si passa da Maurizio Costanzo alla telecronaca della partita della nazionale di calcio italiana passando per cartoni animati. Geniale al punto giusto.

Ovviamente, come ho sottolineato, le espressioni musicali qui dentro, indice di un prodotto di notevole spessore, mi fanno optare ad un risultato più che positivo; c’è però da segnalare che qualche pecca compositiva e concettuale è presente. In primis, la non troppa cura rivolta ad un artwork grezzo e scolastico, a tratti fanciullesco. Ciò che trasmette è tutto tranne che la musica proposta dal prodotto finale; si tratterà di una sciocchezza per molti, ma l’immagine a volte serve ad attirare un pubblico più vasto. Secondo ed ultimo appunto di negatività è la inspiegabile somiglianza delle scelte compositive che a tratti, non solamente stilisticamente ma anche a livello di produzione, risultano davvero identiche agli artisti citati in precedenza. Se copiare e prendere appuntio è doveroso nei confronti dei “maestri”, l’essere sulla soglia di un plagio può risultare fuorviante. Probabilmente un produzione in grado di portare maggiore risalto alla proposta in essere, piuttosto che ad un mero copia incolla, potrebbe giovare al tutto, ma dato che questi sono solo piccoli accenti che si notano lungo l’arco dell’intera durata in pochi probabilmente se ne accorgeranno… forse non avrei dovuto dirlo?

Tiriamo le somme, tracciamo la riga e non mettiamo il biplano davanti ai buoi, “buoi” mai che riusciamo ad avere, col tempo, un progetto musicale che riesca a farsi conoscere anche all’estero? Give us Barabba è una band agli albori ma che merita un ascolto, magari potrebbe sorprendervi! Anche se la disamina oscilla tra positività e negatività, a conti fatti il risultato è ottimo. Ora zitti tutti e andate a tavola che è giornata di ciccia, grigliata di…

review by Andrea Poletti “Ad Astra”